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ALLA SCOPERTA DELLE NOSTRE PAURE: LA PEDIOFOBIA, LA FOBIA DELLE BAMBOLE

  • Alessandro Cariulo
  • 25 apr 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Vi è mai capitato di avere una paura profonda, irrazionale e incotrollabile per qualcosa? Siete mai stati etichettati come fobici? Ma cosa si intende per fobia? Fobia, dal greco phobos, è un termine che significa “panico, paura”. In psicologia si fa riferimento ad una reazione di paura eccessiva, cioè non commisurata al reale pericolo, che il soggetto può provare in riferimento ad un animale, una situazione, un ambiente o altre condizioni. Quali sono le fobie più diffuse:

  • Animale (ad esempio, ragni, insetti, cani)

  • Ambiente naturale (ad esempio, altezze, temporali, acqua)

  • Sangue, iniezioni, ferite (ad esempio, aghi, procedure mediche invasive)

  • Situazionale (ad esempio, aeroplani, ascensori, luoghi chiusi)

Anche se lo stimolo responsabile della fobia è molto definito, spesso un individuo manifesta fobie multiple: può per esempio temere tre stimoli diversi più o meno correlati tra loro, come chi ha paura di volare in aereo può temere anche le altitudini soffrendo di vertigini e avere anche paura dell’ascensore.

In realtà quelle appena indicate sono solo alcune delle numerose fobie conosciute e studiate a livello psicologico. Oggi, per esempio, parleremo di una fobia meno conosciuta, la fobia delle bambole, chiamata pediofobia.


Vi sentite a disagio davanti ad una bambola? Vi sentite osservati? Sentite un brivido lungo la schiena quando vi trovate faccia a faccia con con un pupazzo di pezza dalle fattezze umanoidi? Tutto normale. Ma se una persona, alla sola vista di una bambola, o nei casi più gravi anche solo al semplice parlarne, ha i battiti accelerati, la respirazione affannata, secchezza delle fauci, si paralizza dallo spavento, inizia a sudare, urla e piange o tenta di fuggire, allora in quel caso si può parlare di vera e propria fobia.


Ma da cosa nascono le fobie? Alcune sono paure ancestrali che, grazie alla cultura e alla società, si sono affermate e rafforzate, per esempio quella per i serpenti o i rettili in generale. In altri casi possono essere legate ad un’esperienza diretta, un episodio che ha traumatizzato il soggetto, oppure possono derivare da un’esposizione indiretta, per esempio dall’aver osservato una certa scena direttamente, attraverso immagini e vide, o aver ascoltato un racconto, esposto da terze persone, che ha sconvolto particolamente la persona. Ed è proprio questo ultimo punto su cui porre l’interesse, in riferimento alla pediofobia, così come alla coulrofobia, la fobia dei clown, che ha molti punti di contatto con la fobia delle bambole. Ci sono infatti molte storie e leggende metropolitane riguardanti bambole maligne e assassine, oltre al legame che esse hanno con la stregoneria, basti pensare al voodoo, dove l’uso delle bambole ha lo scopo di causare dolori e tormenti alle persone che le rappresentano. In definitiva, quello che determina la nascita della fobia, è l’associazione tra uno stimolo specifico e la sensazione di malessere provata in associazione a quello stimolo.


Non è un caso che la letteratura e la cinematografia del genere horror abbia spesso posto al centro di storie di paura la figura dell’innocente bambola che improvvisamente si anima e si trasforma in una crudele macchina di morte, approfittando proprio di questa sensazione di disagio provata dal pubblico. Da “Chucky – La bambola assassina”, film del 1988 con la regia di Tom Holland che ha visto otto episodi fino al 2019, fino ad “Annabelle” film di John Leonetti del 2014, per non parlare del pupazzo meccanico che compare in “Profondo rosso” di Dario Argento. E ancora: Gigsaw in “Saw – L’enigmista” (2004), Dolly in “Dolly Dearest – La bambola che uccide” (1991), Billy in “Dead Silence” (2007), il pupazzo dalle sembianze di clown in “Poltergeist – Demoniache presenze” (1982), Blade in “Puppet Master – Il burattinaio” (1989), Fats in “Magic – Magia” (1978), l’orda di bambole in “Dolls – Bambole” (1987), il feticcio Zuni in “Trilogia del terrore” (1975), la bambola Suzie in “May” (2002). Bambole che prendono vita, che uccidono e che sono dominate dallo spirito di serial killer deceduti.


La pediofobia è molto comune tra i bambini piccoli, ma in alcuni casi persiste fino all’età adulta. Non è raro infatti che il bambino abbia paura di determinate bambole, che tenti di nasconderle o pianga nel vederle. Nella maggior parte dei casi si tratta di un comportamento associato ad un aspetto emotivo, che si risolve con il passare del tempo e lo svilippo del bambino. In altri casi può succedere che i piccoli si spaventino alla vista dei loro personaggi televisivi favoriti quando sono interpretati da persone che indossano costumi da Topolino, Paperino, Pippo e altri. Il bambino, a tu per tu con il suo personaggio preferito, può esplodere in un pianto incontrollabile perché quando il pupazzo diventa reale, un essere che si muove, e magari si avvicina a lui toccandolo, ed assume dimensioni che possono anche superare quelle del genitore, punto di riferimento del piccolo, ecco che il bambino si sente profondamente a disagio. Allo stesso modo le bambole più piccole possono suscitare nei bambini uno stato di inquietudine dovuto ad una particolare espressione che la bambola stessa può assumere, come un sorriso inquietante, un occhio chiuso e l’altro aperto oppure la bocca aperta.


Ci sono però anche degli adulti che possono presentare una fobia per le bambole, in questi casi molto spesso legata ad un trauma pregresso, una convinzione che avevano da piccoli, per esempio che la bambola che avevano in camera prendesse vita durante la notte, e nonostante siano consapevoli dell’irrazionalità di questa convinzione, non sono in grado di controllare le loro reazioni. Ad incutere maggiore terrore sono le bambole di porcellana, che assumono molto spesso un’espressione molto realistica, ma allo stesso tempo statica. Questa è una reazione che si evidenzia in molte persone che si trovano anche davanti a robot, automi, statue di cera, che assumono fattezze così tanto simili agli esseri umani, che creano un senso di inquietudine: sappiamo che sono oggetti inanimati, ma allo stesso tempo hanno sembianze, e nel caso dei robot comportamenti, che si associano agli esseri umani.


Ma come è possibile contrastare queste fobie? Anche se in alcuni casi possono essere somministrati dei farmaci, questi si limitano a contrastare i sintomi di ansia, ma non risolvono la fobia, che dovrà essere trattata con tecniche mirate. La tecnica maggiormente utilizzata in tale ambito è l’esposizione graduale agli stimoli temuti: il soggetto viene avvicinato in modo progressivo allo stimolo fobico, fino ad arrivare ad avere contatto diretto con lo stimolo, che diviene neutro ai suoi occhi grazie a un processo parallelo di ristrutturazione delle idee irrazionali relative allo stimolo (ad esempio, “se un ragno si poserà su una mia gamba sicuramente mi pungerà e morirò”). Se per esempio una persona ha una fobia specifica per l’ascensore, il terapeuta concorda con lei una serie di stimoli a intensità crescente. Si passa dal guardare una foto di un ascensore, al vedere un video di persone che lo utilizzano, per poi andare con il terapeuta vicino a un ascensore aperto, entrare insieme a lui nell’ascensore tenendo la porta aperta, infine fare qualche piano insieme a lui e usarlo da soli. Tutti questi passi sono rigorosamente graduali e non si passa a quello successivo se il paziente non giudica di essere a suo completo agio in quello attuale.

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©2020 di Alessandro Cariulo Psicologo Criminologo Formatore. Creato con Wix.com

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