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IN ME LA NOTTE NON FINISCE MAI: DAL DELITTO DI TASSINAIA ALLA FILMOGRAFIA HORROR '70 - '80 - EP.4

  • Alessandro Cariulo
  • 13 mag 2020
  • Tempo di lettura: 7 min


Nello scorso incontro abbiamo parlato dell’origine della vicenda del Mostro di Firenze, o meglio, del delitto di Signa del 1968. Dobbiamo dire che, se facciamo attenzione, ci sono numerosi delitti, presunti suicidi e simili che in qualche modo si intrecciano, direttamente o indirettamente, alla vicenda del Mostro di Firenze. Uno di questi è senza dubbio il delitto di Tassinaia, una atroce delitto avvenuto nel 1951 nel Mugello, una zona che, come sappiamo, assumerà una certa importanza nella storia dei delitti delle colline fiorentine. Siamo vicino a Vicchio, località Tassinaia appunto, in mezzo ai boschi. È l’11 aprile 1951. Severino Bonini, un cenciaiolo quarantenne che frequentava quelle zone, aveva convinto Miranda Bugli, una ragazza diciassettenne del posto, a seguirlo per appartarsi in intimità tra i campi e i boschi. Mentre i due stavano per congiungersi spuntò, da dietro dei cespugli, un contadino della zona, fidanzato con la Bugli da circa un anno. Tra i due uomini nacque un diverbio che ben presto si trasformò in scontro fisico. Il contadino estrasse dalla tasca un coltello e colpì ripetutamente e con violenza il cenciaiolo, uccidendolo. A questo punto l’uomo, in un momento di estasi incontrollata, costringe la ragazza ad un rapporto sessuale accanto al cadavere del Bonini, rimosso poi dall’assassino la notte seguente. Nonostante l’occultamento del corpo il contadino fu scoperto e condannato al carcere, così come la sua fidanzata per esserne stata complice. Anche se la comunità rurale e agricola mugellana era certamente abituata alla crudezza della vita, la vicenda sconvolse tutti, tanto da essere riproposta in versi dai cantastorie locali e portata in giro per tutto il Mugello. Il fatto che il contadino assassino rispondesse al nome di Pietro Pacciani, condannato in primo grado per 7 duplici delitti attribuiti al Mostro di Firenze, e poi assolto in appello, morto in attesa della revisione del processo di appello, riempi ancora di più di mistero l’intera storia. Anche in tribunale, durante il processo Pacciani, il Pubblico Ministero parlò di questo come l’origine dell’ossessione omicida del Mostro.


Quindi: Tassinaia come origine del Mostro, secondo la Procura fiorentina. Come detto all’inizio di questi incontri, cercherò di affrontare la vicenda sottolineando gli aspetti psico-sociali, avanzando ipotesi che tali devono essere, senza pretesa alcuna di verità assolute. In tal senso mi viene da pensare all’impatto che può aver avuto una storia così cruenta sulle generazioni nate in quegli anni in quella zona del Mugello, mi spiego meglio. Come detto i cantastorie iniziarono a raccontare il delitto di Tassinaia in versi, ma è presumibile pensare che, una storia dal forte impatto emotivo come quella, una volta ascoltata poteva essere raccontata ad altri, creando così un vero e proprio passaparola. Pensiamo se questa storia fosse stata raccontata, all’interno di una famiglia in cui vigevano regole ferree basate su moralità estrema, a soggetti in tenera età, tra i 5 e i 10 anni, età molto delicata anche per il futuro sviluppo psicosessuale. Poniamo che questa storia venisse raccontata ad un bambino per spaventarlo, usata come monito, una specie di storia dell’orco cattivo o dell’uomo nero ambientata nel Mugello degli anni ’50. Quale effetto potrebbe aver avuto a livello di sviluppo psico-sessuale un fatto del genere, unito ad un ambiente familiare ostile o estremamente rigido e ad un’eventuale predisposizione genetica? Sarebbe potuto essere un mix davvero esplosivo. Inoltre a tutto questo ci possiamo aggiungere l’ambiente rurale e agricolo in cui il soggetto potrebbe essere cresciuto, un ambiente costellato da battute di caccia, uccisione e macellazione di animali, da quelli da cortile fino ai bovini, con una costante esposizione a sangue, carne fatta a pezzi, attrezzi agricoli, armi da taglio e da fuoco, sviluppo di forza fisica. Il legame del Mostro con il Mugello è certamente innegabile: uccide per ben due volte, a distanza di 10 anni, nel 1974 nel 1984, due degli attacchi più cruenti e simbolici della serie, e imbuca la busta diretta alla Dott.ssa Silvia Della Monica e contenente il lembo di seno tolto all’ultima vittima femminile nel 1985 proprio da San Piero a Sieve, nel cuore del Mugello appunto. Un soggetto che conosce alla perfezione le zone tra Borgo San Lorenzo e Vicchio, dove si muove con sicurezza anche nell’oscurità di notti senza luna. Ma poniamo che verso la metà degli anni ’60, stanco della vita di provincia e attratto dalle luci del capoluogo toscano, spinto anche dalla voglia di distanziarsi da quella famiglia che odia allo stesso tempo, si sia ritrovato in un luogo, quello della città di Firenze o delle immediate vicinanze, dove le sue fantasie di violenza e sangue abbiano subito un’impennata, siano state alimentate. Come? Da letteratura, romanzi, fumetti e soprattutto dal cinema, un particolare filone del cinema horror, denominato slasher, che proprio negli anni ’60 inizia a fare la sua comparsa e ad affermarsi sui grandi schermi di tutto il mondo, come un’ondata di tsunami che da oltre Oceano giunge fino alle sale cinematografiche italiane. Attenzione, non sto assolutamente affermando che certi film, certi fumetti, così come la pornografia, contribuiscano a far nascere la violenza, ma che semplicemente possano alimentare le fantasie di soggetti che già si trovano indirizzati su un certo percorso. Piccola parentesi: un'ipotesi simile si potrebbe comunque adattare anche ad un soggetto già adulto al momento del delitto di Tassinaia, ma comunque rimasto colpito in modo particolare dal fatto ascoltato o vissuto direttamente, da spettatore o da complice.


Il genere slasher, dall’inglese to slash, ovvero ferire con un’arma appuntita, è un sottogenere dell’horror. Tali film sono caratterizzati dalla presenza di un maniaco omicida, spesso mascherato e con poteri che appaiono come sovraumani, che insegue giovani vittime (studenti, babysitter, teenager in generale), in spazi più o meno ristretti e utilizzando armi da taglio varie che determinano delitti spesso cruenti e spettacolari. C’è un altro aspetto spesso presente in questo genere e che riconduce proprio alla serie omicidiaria del Mostro: il sesso viene visto come qualcosa da censurare, in molti casi con la morte, che colpisce soggetti impegnati in un rapporto sessuale o donne che si concedono a molti amanti, rappresentando la donna come vittima sacrificale, che deve essere punita. Si tratta di un genere nato negli anni ’60, paradossalmente prima della formulazione del concetto di serial killer, affermato poi negli anni’70, ’80 e ’90: dal primo L’occhio che uccide (1960, Michael Powell), passando per Natale rosso sangue (1974, Bob Clark), arrivando poi a tutte le saghe tra cui Halloween (dal 1978, John Carpenter), Nightmare (dal 1984), Venerdì 13 (dal 1980). Va detto che tali film sono anche pieni di molti spunti interessanti e veritieri sul tema serial killer, ma certamente non può mancare quella parte romanzata necessaria per tenere in piedi l’attenzione dello spettatore. E ci sono anche assassini seriali che uccidono coppie, come ne L’Etrusco uccide ancora (1972, Armando Crispino), o in Maniac (1980, William Lusting): il protagonista della storia è Frank Zito, un uomo di mezza età, solitario e in sovrappeso, che vive a New York come proprietario di un complesso di appartamenti: casa sua è squallida, piccola e piena d'armi ma, in apparenza, sembra un semplice uomo onesto. Purtroppo questi è, in realtà, un serial killer schizofrenico che di notte gira per i quartieri di New York uccidendo giovani prostitute o giovani coppiette facendo poi lo scalpo alle donne, facendolo indossare ad alcuni manichini dalle sembianze femminili sparsi nella sua abitazione un po' dappertutto. Attraverso essi parla per ore cercando di non sentirsi solo ma anche con se stesso, ai limiti della doppia identità. È di quegli anche l’avvento del cinema di Dario Argento: L'uccello dalle piume di cristallo (1970), Il gatto a nove code (1971), 4 mosche di velluto grigio (1971), Profondo rosso (1975), Suspiria (1977). Per rimanere sul cinema italiano di questo genere: Reazione a catena (1971, Mario Bava), La bestia uccide a sangue freddo (1971, Fernando Di Leo), Che fine ha fatto Solange? (1971, Massimo Dallamano), Non si sevizia un paperino (1972, Lucio Fulci), Sette orchidee macchiate di rosso (1972, Umberto Lenzi). Questo solo per far capire la massiccia presenza di questo genere di film nel panorama cinematografico dell’epoca. E non è da escludere che si trattasse di un soggetto che seguiva con attenzione e ammirazione questo genere di film. E non è un caso che, forse, tutto ha avuto inizio da quel cinema di Signa, dopo la proiezione di un film, Nuda per un pugno eroi, che non faceva parte del genere slasher, ma che senza dubbio riproponeva temi quali violenza, sangue, sesso, donna-oggetto e schiava sessuale.

Un altro aspetto da non sottovalutare, e che si lega senza dubbio al discorso appena fatto, è lo sviluppo in Italia, tra anni ’70 e ’80, di una particolare tipologia di fumetti, caratterizzati da omicidi brutali, assassini seriali, violenze sessuali, torture e mutilazioni di vario tipo, con la figura della donna che assume il ruolo di schiava sessuale, equiparata ad un semplice oggetto, di cui l’uomo può disporre a suo piacimento. Si tratta di vere e proprie serie che si presentano come poliziesche, o comunque in tema giallo, ma che non sono altro che fumetti pornografici conditi da violenza esplicita e gratuita. Addirittura, nel 1982, viene pubblicato un fumetto dal titolo L’Assassino del bisturi in cui si racconta la storia di due voyeur, due guardoni, che assistono al delitto di una coppia appartata in auto: il killer uccide entrambi e poi asporta il pube e il seno alla vittima femminile. Il Mostro inizierà ad asportare il seno sinistro delle sue vittime femminili due anni dopo l’uscita del fumetto, nel 1984. Coincidenze? Possibile.

Per concludere vorrei porre l’attenzione su una mia personale riflessione. Nel 1986, appena un anno dopo l’ultimo duplice delitto attribuito al killer fiorentino, nelle sale cinematografiche comparve un film dal titolo “Il Mostro di Firenze”. A parte la tempistica della sua realizzazione, con il killer che poteva essere teoricamente ancora attivo, si tratta di un film ben fatto, in cui il regista narra la storia del Mostro, la storia basata sui fatti reali con tanto di delitti, vista attraverso gli occhi di uno scrittore e della sua compagna giornalista. Un film che, se non fosse stato per i fatti reali trattati, si sarebbe potuto benissimo collocare all’interno del genere slasher. Libri, fumetti e adesso anche film, tutti incentrati sulla vicenda dei delitti del Mostro. Cosa vuole fare il killer fiorentino con i suoi delitti? Vuole sicuramente dimostrare di essere importante, sente il bisogno di far vedere quanto è bravo, vuole terrorizzare e shoccare, vuole far valere il suo potere, punendo chi mette in atto comportamenti che discostano dalla sua morale. Ci è riuscito a tal punto da essere diventato il protagonista di uno di quei film che ama tanto. Cosa ci può essere di più appagante?

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©2020 di Alessandro Cariulo Psicologo Criminologo Formatore. Creato con Wix.com

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