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IN ME LA NOTTE NON FINISCE MAI: IL DELITTO DI SIGNA DEL 1968 - EP.3

  • Alessandro Cariulo
  • 9 mag 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 14 mag 2020


L’enigma di Signa


Come in ogni mistero che si rispetti, per cercare di capirci qualcosa di più, è fondamentale andare alle origini, in questo caso a Castelletti di Signa, la notte del 21 agosto 1968, con protagonisti Barbara Locci, 31 anni, casalinga di origini sarde, e Antonio Lo Bianco, 28 anni, muratore siciliano. Dimentichiamo per un attimo le discussioni sul legame o meno tra questo delitto e i successivi 14, dimentichiamoci di lettere, ricordi di carabinieri, perizie su arma e munizioni, storie di depistaggi e manipolazioni di vario tipo. Senza dubbio risulta anomalo un delitto ai danni di una coppia appartata in auto commesso all’interno di quella zona, ad Ovest di Firenze, che diventerà il territorio di azione di un killer che ucciderà proprio coppie appartate in auto in campagna. Cerchiamo quindi di analizzare i punti salienti della vicenda. Innanzi tutto tale delitto fu da subito etichettato come delitto passionale: una coppia di amanti al primo appuntamento, entrambi con coniugi a casa, appartati in auto in una calda sera di fine agosto in mezzo alla campagna. Inoltre contribuì anche la fama che Barbara Locci aveva nella zona, ovvero quella di collezionista di amanti, quelle voci di paese che così la dipingevano, senza sapere cosa c’era dietro, quali dinamiche doveva sopportare all’interno del clan dei sardi. Nessuno si è mai chiesto se, per caso, la donna dovesse concedersi per forza alle avances dei fratelli Vinci e dei loro amici. Questo ci fa capire anche come la figura della donna veniva vista nella cultura, e specialmente in alcune sottoculture, dell’epoca e che purtroppo non è cambiata moltissimo anche dopo 50 anni, questo per sottolineare ancora una volta l’aspetto socio-culturale, unito a quello psicologico, nello sviluppo di un comportamento deviante come quello dell’autore dei delitti fiorentini. Comunque da subito fu escluso il tentativo di rapina così come il fatto che si trattasse di un delitto con finalità economiche. Ma allora, chi potrebbe essere stato l’assassino, o gli assassini della coppia di amanti?

- Un amante respinto dalla donna

- Un amante geloso, che pretendeva di più da lei

- Un familiare della donna

- Un familiare dell’uomo

- Un voyeur passato all’atto violento

- Una persona che conosceva la donna, anche solo per fama, e ne condannava i comportamenti

- Un regolamento di conti tra le famiglie sarde, di lei, e siciliane, di lui


Sicuramente, in questa gamma di possibilità, c’è quella vera. Proviamo ad analizzare il delitto da un punto di vista criminologico e paragonandolo con i delitti dal 1974 in poi. Innanzi tutto si tratta di un delitto ai danni di una coppia di amanti, al primo appuntamento ed entrambi con famiglia, sono appartati in auto in una zona abbastanza isolata, intorno alla mezzanotte con poca luce (luna nell’ultimo quarto), e sono nelle fasi iniziali del rapporto sessuale, con molta probabilità in preparazione di un rapporto orale eseguito dalla donna nei confronti dell’uomo. Vengono sparati otto colpi, quattro all’uomo e quattro alla donna. Qualcuno rovista nella borsa e nel portafogli delle vittime, senza però portare via il denaro ma strappando una catenina con crocefisso alla Locci. Tutti elementi che ricorrono nei successivi sette duplici delitti, dal 1974 al 1985. Infine le vesti della Locci furono ricomposte, probabilmente le furono tirati su gli slip, mentre il Mostro di Firenze tenderà sempre a mettere le vittime femminili in pose sprezzanti, a volte oscene. C’è chi afferma che il Mostro odia la figura femminile, perché ne escinde parti del corpo e la lascia in pose degradanti e umilianti, l’uomo sarebbe quindi solo un ostacolo da eliminare. In realtà, se così fosse, potrebbe “semplicemente” uccidere donne sole, invece lui uccide la coppia, aumentando anche il rischio di fallire nella sua azione, e la uccide nel momento precedente all’inizio del rapporto sessuale, è questo che lui ricerca. Odia la coppia e odia la congiunzione sessuale non finalizzata alla procreazione e al di fuori del vincolo matrimoniale, o comunque deviante secondo i suoi canoni di riferimento. Nel 1968 ricompone la donna, dal 1974 la umilia mettendola in mostra, spesso nuda e privata di alcune parti anatomiche che ne costituiscono l’identità femminile, ovvero pube e seno. Cosa succede nella vita del killer in questi 6 anni, tale da fargli cambiare il suo atteggiamento nei confronti della figura femminile? Questa è la domanda da farsi e a cui provare a rispondere.


Qualcuno a questo punto potrà dire: ma c’è un reo confesso nel caso del 1968, ovvero Stefano Mele, condannato poi in via definitiva. Vero. Ma è anche vero che la psicologia ci insegna che non sempre una confessione fatta da un soggetto deve essere presa come oro colato, prima di tutto andrebbero valutate le capacità cognitive del soggetto in questione, se è in grado di capire le eventuali conseguenze di una sua confessione: il Mele era oligofrenico e, come i bambini, i soggetti con ritardo mentale tendono ad assecondare l’interlocutore che vedono come autoritario, oltre a distinguere a fatica la realtà dalla fantasia. Inoltre quando si parla di confessioni è importante tenere in considerazione tre aspetti: la spontaneità della confessione, la costanza e l’unicità. Nel caso di Mele nessuno di questi tre aspetti è presente, visto che non confessa immediatamente e cambierà versione ogni volta che verrà riascoltato. In ogni caso, abbiamo una sentenza definitiva che lo definisce come responsabile unico del duplice delitto e a quella ci dobbiamo attenere. Il movente? Movente passionale secondo il giudice che lo condannò, movente economico secondo il giudice del processo Pacciani. Ma vediamo di capire cosa accadde il 21 agosto 1968.


Quella sera la coppia aveva deciso di andare al cinema di Signa a vedere “Nuda per un pugno di eroi”, storia di un’infermiera di un campo militare che assiste i soldati feriti. I due avevano portato con loro anche il piccolo Natale Mele, 6 anni, figlio della donna e del marito, Stefano Mele. E qui una domanda sorge spontanea: come ha fatto un bambino di 6 anni ad entrare in una sala dove proiettavano un film vietato? Il direttore del cinema afferma di non aver visto alcun bambino, la cassiera dice invece di averlo visto e di averlo fatto entrare. Anche qui, la testimonianza del direttore del cinema, impegnato nella difesa della sua integrità morale e professionale, deve essere presa con le molle. In ogni caso, all’uscita dal cinema, il bambino dirà che la mamma e il Lo Bianco avevano parlato di una persona che avevano visto proprio lì fuori dal locale. Una persona che non avevano salutato e con cui non avevano parlato. Detto questo, il bambino salirà sull’auto del Lo Bianco e si metterà a dormire sui sedili posteriori, mentre la madre e l’amante andranno a cercare un posto dove potersi appartare, trovato lungo l’argine di un torrente, non lontano da un cimitero.


Un’altra cosa strana, tra le tante di questo duplice delitto, riguarda il fatto che l’assassino, o gli assassini, risparmi il bambino e, con molta probabilità, lo accompagni nei pressi della casa del De Felice al cui campanello suonerà il piccolo. Immaginiamo ora la scena. Il piccolo è sul sedile posteriore dell’auto, sta dormendo, si sveglia perché sente dei rumori (si sveglia forse dopo i primi 2 o 3 spari) e si rende conto che la mamma e lo “zio”, così chiamava gli amanti della mamma, non rispondono. Già questo avrebbe potuto innescare una reazione di panico incontrollato nel bambino, con pianti e urla, oppure all’opposto una reazione di freezing, cioè di congelamento. Il bambino esce da solo dall’auto e riesce a muoversi nella totale oscurità andando in direzione delle luci delle case più vicine? Questo scenario è possibile certo, però dal mio punto di vista è quanto meno molto difficile, anche solo considerando la naturale paura del buio insita nella maggior parte dei bambini di quell’età, senza poi considerare il trauma appena subito. Consideriamo poi le condizioni impervie del terreno che avrebbe dovuto percorrere, oltre al notevole distanza, pari all’incirca a due chilometri. Altra cosa su cui ragionare è la tranquillità con cui arriva alla casa del De Felice, al quale recita una frase che sembra proprio imparata a memoria, senza emozioni o paura: “Aprimi la porta perché ho sonno e ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina”. Forse il piccolo è stato tranquillizzato da quel qualcuno che lo ha accompagnato dalla macchina alla casa? E quel qualcuno, sarà stato una persona per lui di fiducia, o comunque conosciuta? Non per forza un parente, ma anche un amante della mamma, che lui è solito chiamare zii. Ma soprattutto, se analizziamo il suo discorso, che sembra una filastrocca insegnata a scuola dalla maestra, c’è un chiaro e immediato riferimento al fatto che il babbo era a casa malato, perché? C’è chi sostiene che ad accompagnarlo fosse stato proprio il padre, e che lui lo avesse istruito su cosa dire. Se da una parte l’ipotesi sembrerebbe reggere, poiché nessuno meglio del padre avrebbe potuto tranquillizzare il piccolo spaventato, da un’altra non regge affatto, considerando infatti le ridotte capacità intellettive di Stefano Mele non avrebbero certo potuto partorire un piano tanto elaborato e neanche un discorso tanto lineare. Ecco allora che a questo punto potrebbe entrare in gioco un’altra ipotesi: chi ha ucciso i due amanti è un soggetto che conosce il bambino, forse perché frequentava la cerchia della sua famiglia, infatti in più di un’occasione Natalino parla di uno o più zii presenti sulla scena del crimine e che poi lo hanno accompagnato alla casa: dallo zio Piero, ovvero Piero Mucciarini, allo zio Pietro di Scandicci e fratello della mamma. E se invece Stefano Mele fosse stato, non solo a conoscenza del delitto in programma, ma anche presente sulla scena insieme ad un Mister X? Potrebbe essere stato quell’uomo che, anche secondo le dichiarazioni di Natalino era presente all’uscita del cinema e di cui la Locci e il Lo Bianco avevano parlato in auto? Poteva forse essere lo stesso soggetto che seguiva la donna da qualche tempo a bordo di una Vespa? Un misterioso uomo che, da una parte desiderava la Locci, e la voleva solo per sé, e dall’altra ne condannava il comportamento, un soggetto minaccioso, capace forse di incutere terrore a Stefano Mele e ai sardi, e non era certo semplice intimorire gente del genere. Un’ipotesi, da considerare semplicemente come tale.


Ma siamo certi che il bambino sia stato accompagnato nel tragitto? Anche se devono essere tenuti presenti gli elementi illustrati in precedenza, dobbiamo anche riportare elementi che contrastano totalmente con l'ipotesi appena formulata. Esistono casi di bambini molto piccoli, dell’età di Natalino o anche meno, che hanno percorso tratti di strada paragonabili alla distanza scena del crimine di Signa – casa De Felice, in condizioni molto simili per quanto riguarda luminosità, condizioni del terreno e assenza di scarpe, e che lo hanno fatto in seguito ad eventi con alto livello di shock come incidenti di vario tipo che hanno coinvolto e ucciso tutti i membri della famiglia, alcuni di essi o comunque figure di riferimento. Ecco di seguito un articolo sul tema.Casi di bambini molto piccoli, dell’età di Natalino o anche meno, che hanno percorso tratti di strada paragonabili alla distanza scena del crimine di Signa – casa De Felice, in condizioni molto simili per quanto riguarda luminosità, condizioni del terreno e assenza di scarpe, e che lo hanno fatto in seguito ad eventi con alto livello di shock come incidenti di vario tipo che hanno coinvolto e ucciso tutti i membri della famiglia, alcuni di essi o comunque figure di riferimento (a riguardo segnalo il seguente articolo: https://serialkilleredelitti.com/2019/05/05/bambini-sopravvissuti-che-hanno-chiesto-aiuto).

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©2020 di Alessandro Cariulo Psicologo Criminologo Formatore. Creato con Wix.com

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