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IN ME LA NOTTE NON FINISCE MAI: VIAGGIO NELLA MENTE DEL KILLER DELLE COLLINE FIORENTINE - EP.2

  • Alessandro Cariulo
  • 6 mag 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Buongiorno a tutti ed eccoci al secondo appuntamento del viaggio all'interno della mente del killer delle colline fiorentine. Per i primi appuntamenti cercherò di pubblicare due articoli ogni settimana, poi con l'andare del tempo passerò ad un solo articolo a settimana. Innanzi tutto vorrei spiegare, visto che non l'ho fatto nel primo episodio, il significato della frase "In me la notte non finisce mai". Si tratta di un'affermazione contenuta in una lettera, scritta a mano, e recapitata al quotidiano La Nazione di Firenze il 20 settembre 1985, ovvero pochi giorni dopo il delitto di Scopeti, in cui un soggetto ignoto si attribuiva i delitti del Mostro di Firenze e scriveva:

Sono molto vicino a voi. Non mi prenderete se io non vorrò. Il numero finale è ancora lontano. Sedici sono pochi. Non odio nessuno, ma ho bisogno di farlo se voglio vivere. Sangue e lacrime scorreranno fra poco. Non si può andare avanti così. Avete sbagliato tutto. Peggio per voi. Non commetterò più errori, la polizia sì. In me la notte non finisce mai. Ho pianto per loro. Vi aspetto.

Tale lettera fu attribuita, secondo il mio parere giustamente, ad un mitomane o a qualcuno che aveva voluto fare uno scherzo di pessimo gusto. Ci sono molti punti, come vedremo nel corso dei prossimi episodi e dell'analisi del caso, che non si adattano proprio alla personalità del possibile colpevole, questo è fuori discussione. Ma la frase che ho scelto come titolo (In me la notte non finisce mai) mi ha sempre molto colpito, è un pò quello che ho sempre pensato di questo soggetto, una persona immersa nella sua personale oscurità. Detto questo, vorrei iniziare con una parte introduttiva, per spianare poi la strada ad un'analisi più completa del caso.


Prima di iniziare a parlare della serie di delitti che per 17 anni hanno insanguinato la provincia di Firenze, è importante chiarire Il concetto di mostruosità è stato studiato e approfondito dal Professor Francesco Bruno e dai suoi collaboratori (1995). In Italia, da sempre, quelli che in altri Paesi vengono definiti Serial Killer, noi tendiamo a definirli Mostri, accostandogli poi il nome della città in cui agiscono. Questo concetto non è definibile in modo quantitativo, piuttosto si presenta ogniqualvolta ci troviamo ad affrontare un caso che definito da elementi quali:

- Numero particolarmente alto di vittime

- Giovane età delle vittime

- Quantità di violenza e crudeltà manifestate

- Relazioni parentali strette tra vittime e aggressore, tanto da infrangere i nostri tabù

- Armi usate e consistente quantità di sangue sulla scena del delitto

- Scenografia e simbolismo legato a questi omicidi

Ed ecco spiegato come i delitti perpetrati sulle colline intorno a Firenze dal 1968 al 1985, fatta eccezione per la relazione di parentela tra vittime e aggressore, rappresentino a pieno tutti gli elementi che caratterizzano il concetto di mostruosità. Così come altri casi che hanno arricchito la casistica degli omicidi seriali in Italia: dal Mostro di Foligno, a quello di Terrazzo, dal Mostro di Torino a quello di Udine, la cui identità risulta ancora ignota. Come afferma Bruno, il soggetto che viene definito mostro è inserito a tutti gli effetti in una terza categoria di soggetti, non è un semplice criminale e non è un folle, è un qualcosa di raro ed eccezionale, che va oltre la comprensione razionale, un qualcosa di estraneo alla natura umana. Tale concetto, se da una parte ha lo scopo di rassicurare, prendendo le distanze da qualcosa che le persone normali, e quindi noi, non sarebbero mai in grado di fare, dall’altra però ci fa vedere questi soggetti come non umani, quasi un qualcosa di astratto e fantascientifico, quando in realtà non sono altro che persone comuni, esseri umani proprio come noi.


Per capire come funziona davvero la mentalità di un soggetto che si ritrova a commettere una serie di reati, può essere utile comprendere la teoria della “Struttura del pensiero criminale” di Yochelson e Samenow (1976). Secondo questi due studiosi la personalità criminale, e in particolare dei serial killer, è caratterizzata da strutture di pensiero e di azione che descrivono il meccanismo di pensiero, gli errori automatici del pensiero e i processi mentali che accompagnano l’esecuzione dei crimini. È fondamentale tenere presente che i meccanismi di pensiero dei serial killer, anche se in forma ridotta, sono comuni a tutti gli esseri umani. Gli elementi costitutivi della loro personalità sono:

- Paura -> Ogni serial killer, così come un qualunque uomo, ha paura di morire, di essere ferito, di soffrire e di essere catturato. Si tratta di una paura diffusa e presente in ogni momento, ma che lui cerca di combattere e allontanare, cercando di convincere sé stesso e gli altri di non temere niente. Il serial killer è sospettoso, ma è una sospettosità lecita, legata a paure determinate dalla realtà in cui vive. Nei soggetti psicopatici, questo aspetto, è spesso molto marginale o del tutto assente.

- Lo stato zero -> Senso di disperazione e inutilità che accompagna il soggetto in modo costante, convinto che sia notato anche dagli altri.

- Intensa superbia e forte motivazione al potere -> In questa fase il soggetto desidera il dominio sugli altri, la competizione ed esalta l’azione criminale.

- Pensiero prevalentemente concreto -> Il pensiero concreto esclude concetti astratti come la responsabilità o il senso di famiglia.

- Tendenza a frammentazione psicologica -> Amore e odio in questa fase coesistono senza particolari disagi da parte del soggetto.

- Sessualità -> Appare decisamente compromessa, è espressa in modo eccessivo, con un’eccitazione costante e una continua ricerca di stimoli, con bisogno di conquista e dominazione, oppure cerca di reprimere gli impulsi sessuali, li inibisce e si sente impotente e insoddisfatto. Nei serial killer la sessualità è spesso vista come un oggetto per ottenere potere, dominio e a volte anche per umiliare l’altro, non è associata ad intimità, condivisione e relazione.

- Meccanismi mentali che precedono, accompagnano e seguono il crimine -> Si tratta di forme di passaggio da pensiero ad azione, aiutato dal superamento della paura di essere punito, oltre all’esaltazione, non realistica, dei propri mezzi e delle proprie possibilità per evitare eventuali ostacoli che impediscono la realizzazione del crimine.

- Errori automatici del pensiero -> si tratta di modi particolari di essere e sentire, utili per raggiungere l’obiettivo criminale, per esempio:

o Il serial killer interrompe la comunicazione con l’esterno in presenza di situazioni che potrebbero compromettere la sua azione, facendolo cadere nella trappola degli investigatori;

o Tende a percepirsi come vittima;

o Non è in grado di apprendere dall’esperienza e non programma azioni a lungo termine;

o Non riesce a identificarsi con i bisogni degli altri e non è in gradi di assumere impegni;

o Si sente padrone degli oggetti e delle persone che possiede.

Il Mostro è un essere umano, con le sue paure, i suoi pensieri, le sue debolezze e i suoi desideri. Solo riuscendo a comprendere questo punto, immaginando di dover cercare un uomo comune e non un essere mitologico con coda, corna e forcone, sarà possibile avvicinarsi alla verità.


A questo, dopo una panoramica sul contesto socio-culturale dell'epoca, a Firenze e in Italia, qualche parola sulle fantasie dei serial killer e sulle loro modalità di pensiero, oltre alla spiegazione del concetto di "Mostro", che poco mi piace, siamo pronti per partire alla scoperta della psicologia del serial killer fiorentino...

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©2020 di Alessandro Cariulo Psicologo Criminologo Formatore. Creato con Wix.com

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