top of page

L'ORIGINE DEL COMPORTAMENTO OMICIDIARIO SERIALE: DALLA COMPONENTE GENETICA A QUELLA AMBIENTALE

  • Alessandro Cariulo
  • 13 set 2022
  • Tempo di lettura: 13 min

Come ha origine il comportamento dell’assassino seriale? Ma soprattutto, chi e perché diventa un serial killer? Domande molto interessanti ma, allo stesso, molto complesse e, proprio per questo, non è così semplice fornire una risposta. Il modello che andiamo ad illustrare si pone non tanto l’obiettivo di dare risposte definitive a queste domande, quanto quello di fornire degli schemi che possano essere utili per poter riflettere sull’argomento. Secondo gli studi del sottoscritto, per capire la vera genesi del comportamento omicidiario seriale, è importante focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti, tra cui:

Ø Componente genetica

Ø Ambiente in cui il soggetto nasce e cresce

Ø Tipologia di relazioni con figure di riferimento

Ø Tipologia di interazione con adulti e gruppo dei pari

Ø Sviluppo di particolari tratti di personalità

Ø Tendenza a sviluppare personalità psicopatica

Ø Rifugio in un mondo fantastico

Ø Aumento di fallimenti e frustrazioni portano a sviluppare fantasie sempre più dettagliate

Ø Le fantasie assumono anche carattere sessuale e portano a gratificazione del soggetto

Ø Evento scatenante

Ø Messa in atto del primo delitto

Ø Effetti in seguito al primo delitto

Ø Senso di potere in seguito al primo delitto dovuto anche all'immunità

Ø Pensieri relativi a commettere nuovo delitto

Ø Messa in atto del secondo delitto

Proviamo adesso ad analizzare tutti questi elementi, uno dopo l’altro.


La componente genetica


Ci sono molti studi che indicano un legame tra alcuni geni, in particolare il gene MAO-A, la presenza di un cromosoma Y in più, modifiche morfologiche e funzionali a livello di strutture quali il Sistema Limbico, responsabile delle nostre emozioni, corteccia prefrontale, orbitofrontale e frontale, come legate al comportamento criminale. In realtà tutti questi studi hanno dimostrato come tutti questi elementi, compresi traumi avvenuti nel corso della vita e che hanno coinvolto certe aree, non bastano da soli a spiegare la messa in atto di un comportamento criminale. Il tutto può essere disinnescato se sarà unito ad un ambiente sano, allo sviluppo di sane relazioni e alla normale interazione con il mondo.

o Il gene MAO-A e gli studi di Fallon -> James Fallon, neuroscienziato statunitense, esaminò le risonanze magnetiche di 70 cervelli, senza sapere di chi fossero: alcuni erano soggetti normalissimi, altri schizofrenici, altri ancora assassini. Tra questi ne individuò 5, che successivamente furono identificati come i cervelli di noti psicopatici: erano i cervelli di Gacy, Bundy, Ramirez, Rader e Manson. Tutti questi cervelli presentavano un danno alla Corteccia Orbitofrontale destra. Fu così che Fallon individuò un gene, chiamato MAO-A, come il responsabile della diffusione maggiore di serotonina nel SNC, soprattutto nel periodo fetale. Questo spianerebbe la strada ad un comportamento aggressivo in età adulta. Traumi in età infantile e in adolescenza, subiti da soggetti già sensibili da un punto di vista genetico, non farebbero altro che aumentare il rischio della messa in atto di comportamenti aggressivi e violenti da parte di tali soggetti.

o Gli studi di A. Raine -> Secondo lo studioso si possono avere Assassini Reattivi (emotivi) soggetti che uccidono una o poche vittime, reagiscono a provocazioni, non controllano emozioni e comportamenti che comportano il malfunzionamento della Corteccia Prefrontale (PFC), e l’attivazione del Sistema Limbico) e Assassini Proattivi (predatori), ovvero soggetti che uccidono molte vittime (come i Serial Killer), riescono a sfuggire alla cattura a lungo, pianificano le loro azioni e controllano emozioni (Corteccia Prefrontale funziona e Sistema Limbico si attiva). La Corteccia Prefrontale (PFC)si trova nella parte rostrale del cervello (anteriore) ed è responsabile delle funzioni cognitive e della capacità di prendere decisioni e fare scelte. Lesioni o deficit nella zona ventrale (anche inclusa corteccia orbitofrontale) codifica di eventi socio-emotivi è compromessa. Il Sistema Limbico è invece composto da strutture quali Amigdala e Ippocampo ed è responsabile delle emozioni, della memoria a lungo termine, comportamento e olfatto. Struttura primitiva, istinti, attacco-fuga.

o Gli studi di Kent Kiehl -> Kent Kiehl, ricercatore statunitense, ha analizzato la struttura cerebrale di numerosi detenuti del New Mexico. Gli psicopatici (come i Serial Killer e i sadici sessuali) non hanno connessione tra Sistema Limbico e Corteccia Prefrontale: mancando questo ponte tra istinti e sentimenti, tali soggetti sono privi di compassione per gli altri (empatia), sono freddi e distaccati (anaffettivi) e molto spesso danno l’impressione di essere brave persone. Questi soggetti possono presentare deficit a livello del Sistema Paralimbico (responsabile elaborazione emozioni) o dell’amigdala (centro del cervello che controlla la paura). Secondo l’ipotesi dello studioso sarebbe la Circonvoluzione dell’Ippocampo, ad essere responsabile dei sintomi psicopatici, tra cui mancanza di paura. Oltre ad essere molto importante per la memoria a lungo termine, l’ippocampo è anche implicato nel condizionamento alla paura e nella risposta emotiva e fa parte del circuito limbico che regola il comportamento emotivo. È anche implicato, sia nell’uomo che negli animali, nelle reazioni aggressive e nel comportamento antisociale.


Caratteristiche ambientali


Il soggetto può subire traumi di tipo fisico, per esempio lesioni dovute a percosse o incidenti, in particolare concentrate alla testa, traumi psicologici, per esempio un’educazione particolarmente rigida, talvolta improntata all’umiliazione o alla sottomissione, violenza assistita, o traumi di tipo sessuale. Talvolta il soggetto può assistere a scene di sesso in età precoce, a volte accidentalmente, altre volte sistematicamente, con uno o entrambi i genitori che sono soliti mettere in atto rapporti sessuali in presenza del bambino, oppure può ritrovarsi in una famiglia in cui la sessualità e il sesso sono vissuti in modo inadeguato, portando così ad una sessualizzazione precoce. Chiaramente tutti questi comportamenti, così come quelli che saranno illustrati più avanti, non determinano assolutamente un comportamento deviante e tantomeno un comportamento aggressivo e omicidiario.


Relazioni con le figure di riferimento e relazioni sociali


Le relazioni che il soggetto instaura con le figure di riferimento interne alla famiglia, come genitori, nonni, e quanto altro, un certo tipo di relazione, in particolare mette in atto una tipologia specifica di attaccamento. Per analizzare le tipologie di attaccamento dobbiamo far riferimento alla teoria della Strange Situation (Mary Ainsworth, 1960), derivata dagli studi di Bowlby, dividendo le varie tipologie in:

- Sicuro -> Il bambino cerca la figura di riferimento durante la sua assenza, ma si placa quando ritorna.

- Insicuro/Evitante -> Il bambino che presenta questo tipo di attaccamento manifesta indifferenza quando viene separato da figura di attaccamento, evitando la figura di riferimento quando fa ritorno.

- Insicuro/Ambivalente -> Viene espresso un forte disagio al momento dell’allontanamento da figura di riferimento e non si placa al suo ritorno.

- Disorganizzato -> Il bambino mette in atto una serie di comportamenti contraddittori che si alternano rapidamente.

Gli stili di attaccamento, secondo la Strange Situation, definiscono l’origine della relazione con la figura di riferimento, oltre alle conseguenze della messa in atto di questi comportamenti:

- Sicuro -> Il caregiver è in grado di soddisfare in modo adeguato i bisogni del bambino, che quindi avrà delle ottime basi per sviluppare un comportamento empatico e sano, relazionandosi correttamente con il resto del mondo.

- Insicuro/Evitante -> Il bambino non ricerca particolarmente la figura di attaccamento e quando questa ritorna la evita in ogni modo possibile. L’attenzione di questi bambini è rivolta all’ambiente perché non si sono sentiti accuditi adeguatamente dalla figura di riferimento. Il bambino si rivolge agli oggetti piuttosto che agli esseri umani, cercando di nascondere il proprio disagio ed evita la vicinanza per tenere sotto controllo il sentimento di avere bisogno che, nelle sue previsioni, non potrà comunque essere soddisfatto adeguatamente.

- Insicuro/Ambivalente -> In questi casi il bambino si comporta in modo ambivalente verso la figura di riferimento, non riesce a consolarsi neanche quando la vede tornare. Cercano di riunirsi alla madre e di essere rincuorati, ma possono anche mostrare rabbia e passività. Le basi di questo comportamento sembrano avere origine nell’esperienza d’interazione con un genitore che risponde in modo imprevedibile alle richieste del bambino, e che risulta quindi inaffidabile nei momenti di difficoltà. In questi casi, il bambino sente il bisogno di dover “estremizzare” i propri comportamenti di attaccamento.

- Disorganizzato -> Comportamenti di evitamento e avvicinamento che si alternano rapidamente. Si tratta di bambini che durante l’assenza della madre piangono e la ricercano attivamente, per poi rimanere in silenzio ed evitarla al momento del ricongiungimento. Altri bambini si avvicinano alla madre ma dopo aver stabilito il contatto con lei, si scostano e rimangono immobili al centro della stanza, come “congelati”. Le ricerche hanno documentato come questa categoria sia particolarmente numerosa nei quadri famigliari caratterizzati da basso livello socioculturale, psicopatologia genitoriale, trascuratezza, maltrattamento e abuso, di tipo fisico e sessuale.

E’ evidente come, una situazione di attaccamento disturbato, che sia insicuro/evitante, insicuro/ambivalente o disorganizzato, possa portare il soggetto a mettere in atto un comportamento, durante l’infanzia, l’adolescenza e successivamente in età adulta, che possiamo definire deviato e violento. In particolare, un attaccamento sicuro, si collega automaticamente ad un buono sviluppo delle capacità empatiche del soggetto che, in caso contrario, si potranno riscontrare dei deficit in tal senso. In particolare l’empatia presenta due componenti, la Perpesctive Taking (componente cognitiva), che prevede la comprensione del punto di vista e i sentimenti dell’altro, e l’Empathic Concern (componente affettiva), che fa si che il soggetto provi delle emozioni in riferimento all’altro, per esempio la compassione. Deficit a livello di attaccamento possono portare il soggetto ad essere deficitario in particolare per quanto riguarda la componente affettiva: c’è la comprensione del punto di vista dell’altro, ma non prova emozioni di alcun tipo in riferimento alle emozioni dell’altro. È evidente come questa situazione sia alla base dello sviluppo del comportamento predatorio del serial killer e, più in generale, della psicopatia. Lo psicopatico, in età infantile, è un soggetto che in genere non prova forti emozioni, scottato da esperienze che lo hanno portato, prima a temere e poi a subire direttamente, l’abbandono da parte della figura di riferimento.

I disagi del bambino si possono esprimere in vari modi, per esempio con enuresi notturna, timidezza estrema, tendenza all’isolamento sia con adulti che con i pari, messa in atto di giochi solitari, presenza di un amico immaginario. Notiamo che tutti questi comportamenti possono essere considerati normali, se inseriti in un contesto di sviluppo psico-sociale, ma se si protraggono oltre il dovuto, ecco che si trasformano in veri e propri campanelli d’allarme.

Una volta definito lo stile di attaccamento, molto spesso, il soggetto tenderà a riprodurre tale modalità relazionale anche all’esterno del nucleo familiare, con altri adulti di riferimento, come insegnanti, istruttori sportivi, educatori, e con i propri pari. Se il soggetto però inizia ad accumulare frustrazioni, insoddisfazioni e fallimenti ripetuti, magari dovuti anche a comportamenti di bullismo ed emarginazione, tutto questo può innescare un forte senso di inadeguatezza, che porta a rifugiarsi in un mondo di fantasie.

Dobbiamo anche evidenziare che le difficoltà da un punto di vista ambientale possono riflettersi sull’integrità strutturale dell’intero sistema nervoso. In particolare, nel comportamento aggressivo, entra in gioco il Sistema Limbico, un insieme di strutture cerebrali di cui fa parte anche l’amigdala. Non è un caso che, in presenza di ambienti disorganizzati o disfunzionali, questa struttura tenda ad atrofizzarsi.

Strutturazione dell’identità personale e della personalità


Quello che aumenta la probabilità che un soggetto con un passato complicato, in particolare nel periodo infantile, possa mettere in atto un comportamento aggressivo è sicuramente la presenza di uno o più tratti di personalità estremizzati, che portano alla manifestazione di uno o più disturbi della personalità. I vari disturbi della personalità riconosciuti dal DSM 5, e che possono interessare i serial killer, sono il disturbo schizoide, schizotipico, paranoide, narcisistico, borderline, istrionico, antisociale e ossessivo – compulsivo. In particolare, il mix devastante, riguarda l’unione di tratti paranoidi, narcisistici, con particolare riferimento a quello che viene definito narcisismo maligno, e tratti psicopatici, che tratteremo a breve.

Anche se la psicopatia, detta anche Disturbo Psicopatico di Personalità, non è inserita all’interno dei disturbi di personalità del DSM 5, da non confondere assolutamente con il Disturbo Antisociale di Personalità, è una delle condizioni più diffuse tra gli assassini seriali. In particolare si tratta di un insieme di caratteristiche e comportamenti che comprendono l’assenza di empatia, rimorso e senso di colpa, con la tendenza a mentire e manipolare il prossimo. Al contrario dell’antisociale che tende a mettere in atto comportamenti che infrangono la legge, lo psicopatico è solitamente un soggetto ben inserito all’interno del tessuto sociale, che riesce ad intrattenere delle relazioni, seppur superficiali, indossando quella che gli esperti definiscono “maschera di sanità”. È evidente come un soggetto che presenti tali caratteristiche sia in grado di agire “sottotraccia” per molti anni, a volte anche per sempre. Tra i campanelli d’allarme individuabili nel bambino, che poi diventa adolescente, ci sono comportamenti come violenza nei confronti di animali e altri pari, danneggiamenti di proprietà, piccoli furti, incendi e altri crimini minori.

Altro aspetto importante, oltre alla definizione della personalità, c’è senza dubbio la creazione della propria identità. In questa fase il bambino cerca di strutturare un’immagine di sé, il più possibile definita, che rappresenti concretamente tutto ciò che vuole esprimere all’esterno. Si parla di un insieme di caratteristiche psicologiche e fisiologiche, in relazione anche al contesto in cui si vive. Costruendo la propria identità il soggetto elabora le informazioni interne ed esterne, seleziona i comportamenti più adeguati e mette le basi per la progettualità futura. Al termine dell’adolescenza l’identità sarà strutturata e, fatta eccezione per piccoli cambiamenti, si manterrà stabile nel tempo. Ma questa identità si forma, inevitabilmente, da un interscambio con i soggetti che popolano lo stesso ambiente dell’individuo in questione, verificando così le proprie abilità e i propri punti di forza. Nel caso di soggetti che presentano problemi proprio nell’interazione con gli altri, si possono rilevare problemi anche nella formazione dell’identità.

Analoghe problematiche si possono verificare, sempre tra infanzia e adolescenza, nella formazione dell’identità sessuale e dell’orientamento sessuale. L’identità sessuale, spesso confusa con l’orientamento, è un aspetto molto delicato dello sviluppo del soggetto, essa descrive la dimensione individuale e soggettiva del percepirsi sessuati, ed è l’esito della complessa interazione tra aspetti bio-psico-socio-culturali (Bancroft, 2009). Può essere anche vista come un costrutto multidimensionale, secondo Shively e De Cecco (1977) come da numerosi altri autori, che ne distinguono quattro componenti: sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale. Le forti pressioni ambientali, e la modalità con cui certi concetti possono essere espressi all’interno della cerchia familiare o nella società, possono indirizzare l’orientamento sessuale di un soggetto, deviandone però la normale strada di sviluppo psico-sessuale. Può avvenire per esempio che un soggetto, pur rendendosi conto di avere un orientamento sessuale di tipo omosessuale, decida di forzarsi a manifestare un orientamento eterosessuale per essere accettato dalla famiglia, dal gruppo di amici o dall’intera società. In tal senso possono giocare un ruolo fondamentale anche le battute o le offese dei pari, la modalità con cui si tratta l’argomento tra le mura domestiche e l’osservazione di come viene trattata una persona che decide di manifestare il proprio orientamento sessuale. In tal senso, se il soggetto omosessuale si sente costretto a manifestare una falsa eterosessualità, potrà arrivare ad esprimere con violenza questa sua omosessualità latente.


La fantasia: il rifugio perfetto


Quando un bambino si ritrova ad affrontare situazioni più grandi di lui come lutti, problematiche all’interno dei rapporti familiari, abusi, ma anche difficoltà nel relazionarsi con i suoi pari, con conseguente tendenza all’isolamento, è possibile che cerchi rifugio in un mondo di fantasia. Queste fantasie, inizialmente marginali, tendono a prendere campo nella mente del soggetto. Diventano il suo rifugio, il suo porto sicuro. Il mondo in cui lui può finalmente avere il controllo sugli altri, ottenere il dominio e il potere che sempre aveva desiderato. Più le umiliazioni, fallimenti e frustrazioni aumentano e più il soggetto tende ad arricchire le sue fantasie. Molto spesso queste fantasie assumono carattere violento, con una grande voglia di prendere il sopravvento sull’altro, dominarlo e annientarlo. Come vedremo a breve, queste fantasie a carattere violento si uniscono e si mischiano a fantasie di tipo sessuale, creando un cocktail esplosivo e potenzialmente molto pericoloso.


Lo sviluppo della sessualità


Le fantasie assumono anche carattere sessuale e portano a gratificazione del soggetto. Gli impulsi sessuali, che iniziano ad uscire allo scoperto intorno ai 7-10 anni, si associano a comportamenti devianti come violenza nei confronti degli animali o dei pari, incendi appiccati, furto di biancheria o altri indumenti e simili. Oltre a questi comportamenti non è raro anche l’utilizzo di materiale come fumetti, riviste o altro materiale a carattere pornografico, possono indirizzare gli impulsi sessuali del soggetto in una direzione non sempre lineare. Al contrario di quello che si può pensare, non tutta la pornografia ha un effetto così deleterio nello sviluppo psico-sessuale dell’adolescente. Le immagini incriminate, che siano stampate su una rivista o un fumetto, o siano proposte all’interno di un video, sono quelle in cui si evidenziano alcuni aspetti:

- Tendenza ad associare sesso a violenza

- Sesso associato al sangue, con immagini molto cruente

- Sesso senza il consenso del partner

- Nella relazione sessuale uno dei due è visto come un semplice oggetto, da utilizzare per raggiungere la propria gratificazione

In un soggetto che già presenta delle vulnerabilità a livello genetico, ambientale, di socializzazione, sicuramente la messa in atto di certi comportamenti, o l’utilizzo di un certo tipo di materiale, può portare ad un vero e proprio corto circuito a livello psico-sessuale, innescando un comportamento sessuale deviato. In particolare si sedimenterà nel soggetto la convinzione che il sesso non è altro che uno strumento per imporre il controllo sul prossimo, da una parte, e ottenere una propria, personale ed esclusiva gratificazione, viene del tutto esclusa la condivisione e la complicità che strutturano i rapporti sessuali definiti sani.


Evento scatenante e passaggio all’atto


Lutto, fine di una relazione, rifiuto, perdita di lavoro, ecc. sono eventi che possono essere considerati scatenanti e indirizzare così l’inizio della discesa verso la violenza.

La messa in atto del primo delitto è spesso un evento casuale, che nasce da un impulso improvviso del soggetto, che non riesce a controllare. Jeffrey Dahmer uccise per la prima volta quando aveva appena 18 anni, subito dopo il divorzio dei propri genitori e la vittima fu un autostoppista di 19 anni che invitò a casa sua e con cui ebbe un rapporto sessuale per poi fracassargli il cranio con un peso da palestra da 4.5 kg. Tornerà ad uccidere dopo nove anni. John Wayne Gacy, nonostante avesse molestato molti ragazzi adolescenti, scontando anche una lunga pena detentiva, fino al 1972 non aveva mai ucciso nessuno. Proprio il 2 gennaio di quell’anno, dopo aver prelevato da una fermata dell’autobus un ragazzo di 15 anni e averlo portato a casa sua per passare la notte, lo uccise la mattina seguente poiché, secondo quanto dichiarato dallo stesso Gacy, appena sveglio vide il ragazzo nella sua stanza da letto con un coltello in mano. Pensando che volesse ucciderlo lo aveva aggredito fino a privarlo della vita, quando in realtà il ragazzo aveva in mano il coltello perché stava preparando la colazione. Il corpo del giovane fu seppellito nello scantinato, così come avverrà per le future vittime del killer.


Le sensazioni dopo il primo delitto


Una volta commesso il primo delitto il soggetto può provare piena gratificazione, ma allo stesso tempo ha anche paura di essere scoperto.

Inoltre si sperimenta un senso di potere in seguito al primo delitto, dovuto anche all'immunità, alimentato dal ricordo dell’atto stesso, aiutato da trofei e souvenirs. A questo punto iniziano a svilupparsi pensieri relativi a commettere nuovo delitto. E’ qui che nasce il bisogno, che spingerà il soggetto a ricercare una nuova vittima per ottenere nuovamente la massima gratificazione. John Wayne Gacy, dopo il primo delitto, disse di essersi sentito completamente svuotato, rendendosi conto di aver avuto un orgasmo completo nell'atto di uccidere il giovane. Queste reazioni, del tutto inconsapevoli, indirizzano verso la ripetizione dell’atto e quindi verso la serialità.

Come accade per ogni sostanza, o comportamento, che crea dipendenza con il passare del tempo si riduce il tempo in cui il soggetto può trarre beneficio dalla messa in atto dello specifico comportamento, intensificando così la frequenza dei delitti. Dobbiamo considerare che però questa non è da considerarsi una regola assoluta. Nel corso della serie omicidiaria possono infatti entrare in gioco numerosi fattori, come il poco tempo a disposizione del soggetto o la gratificazione ottenuta da altri comportamenti ritenuti “accettabili”, che possono rallentare o accelerare l’azione del soggetto.


Il secondo delitto e l’inizio del ciclo seriale


Una volta commesso il primo delitto il killer entra in una spirale che lo porta inevitabilmente a continuare ad uccidere, ancora ed ancora. L’origine di questo impulso è dato dagli effetti, spesso molto piacevoli, provati dal soggetto subito dopo il primo delitto. Una volta commesso il secondo delitto, una volta provate nuovamente le sensazioni piacevoli che avevano seguito il delitto precedente, il soggetto entra a tutti gli effetti nel ciclo seriale. Questo ciclo si credeva che fosse inarrestabile, fino a qualche anno fa, ma in realtà possono entrare in gioco numerosi fattori a far rallentare o stoppare il suo agire delittuoso. Oltre alla morte e alla malattia dell’assassino, la sua carcerazione per altro reato o lo spostamento del suo terreno di caccia, ci può essere un evento nella vita dell’assassino che fa sia che sia gratificato oppure impegnato, che sposti la sua attenzione su un comportamento socialmente accettato o da condividere con un/una partner consenziente. Tutti questi sono elementi che possono essere determinanti nell’interruzione della serie.


ATTENZIONE! -> Annuncio che, per chi fosse interessato all'argomento Serial Killer, nel 2023 sarà in uscita il mio primo volume, che racchiuderà tutti i miei studi sull'argomento... A breve nuovi aggiornamenti...

Comments


©2020 di Alessandro Cariulo Psicologo Criminologo Formatore. Creato con Wix.com

bottom of page