Omicidi seriali e falsi miti: chi sono davvero i Serial Killer?
- Alessandro Cariulo
- 20 apr 2020
- Tempo di lettura: 11 min

Stavo seguendo le lezioni del master di criminologia, nell’aprile del 2018, quando iniziò a rimbalzare la notizia che, grazie al DNA, negli USA era stato arrestato il Golden State Killer, Joseph DeAngelo, un ex poliziotto in pensione che aveva ucciso 12 persone, oltre ad essere repsonsabile di altre 50 aggressioni. Poi nel 1986 la serie di delitti e aggressioni si era interrotta. Ecco crollare uno dei miti più radicati secondo cui i serial killer smettono di uccidere solo se morti, impediti per gravi problemi di salute o arrestati. Non è così. Non lo era stato neanche per Denis Rader, lo strangolatore BTK, o per Lonnie David Franklin Jr., noto come Grim Sleeper. In realtà questo è solo uno dei falsi miti sugli omicidi seriali che si sono radicati nell’opinione pubblica, non solo grazie a film, romanzi o fumetti. In particolare la genesi di certi falsi miti potrebbe essere attribuita ad un sottogenere dell’horror, ovvero lo slasher, dall’inglese to slash, ovvero ferire con un’arma appuntita. Tali film sono caratterizzati dalla presenza di un maniaco omicida, spesso mascherato e con poteri che appaiono come sovraumani, che insegue giovani vittime (studenti, babysitter, teenager in generale), in spazi più o meno ristretti e utilizzando armi da taglio varie che determinano delitti spesso cruenti e spettacolari. Si tratta di un genere nato negli anni ’60, paradossalmente prima della formulazione del concetto di serial killer, affermato poi negli anni’70, ’80 e ’90: dal primo “L’occhio che uccide”, a “Natale rosso sangue”, del 1974, per passare poi a tutte le saghe tra cui “Halloween”, “Nightmare”, “Venerdì 13”, “Non aprite quella porta”, per finire con “Scream – chi urla muore”, di metà anni ’90. Va detto che tali film sono anche pieni di molti spunti interessanti e veritieri sul tema serial killer, ma certamente non può mancare quella parte romanzata necessaria per tenere in piedi l’attenzione dello spettatore. In realtà, come vedremo, anche certi addetti ai lavori hanno contribuito ad alimentare alcuni falsi miti, non certo volontariamente ma perché gli studi dovevano semplicemente essere ampliati e approfonditi.
Falso Mito 1: Tutti i SK uccidono spinti da una motivazione sessuale
Dobbiamo dire che, al contrario di quanto si pensava fino a qualche anno fa, i moventi che spingono un serial killer ad un uccidere non sono solo legati al sesso. Va detto che se noi pensiamo alla sessualità che intende il serial killer credendo di assimilarla alla sessualità intesa dalla maggior parte degli esseri umani sbagliamo. Per il serial killer la sessualità non è amore, passione, condivisione, ma semplicemente esercizio di potere, dominio e sottomissione dell’altro. Per il serial killer sesso, violenza e morte si fondono diventando tutt’uno. C’è anche l’aspetto sessuale certamente, ma ci sono anche motivazioni quali la rabbia, il dolore, la vendetta, la voglia di rivalsa, di potere e di dominio, l’affermazione, guadagno di tipo economico e psicologico, una strana ed estrema religiosità o moralità, odio verso certe categorie di persone, ma anche il semplice divertimento, essere al centro dell’attenzione e la voglia di sconfiggere la noia, tutti elementi che possono portare ad un eccitamento sessuale nel soggetto, oltre chiaramente a disturbi psicotici che sfociano in deliri e allucinazioni. Tutti gli assassini seriali, di ogni tipo essi siano, sono accumunati da un bisogno, che li spinge a ricercare la soddisfazione dei loro desideri e in tutti i casi si riscontra un desiderio di potere e controllo totale sulla vittima e sull’intera situazione. Ci sarebbero moltissimi esempi, ne riportiamo solo alcuni:
- I cecchini di Washington: uccisero nell’area di Washington almeno 10 persone sparando da lunga distanza con un fucile di precisione
- Paul Reid: uccise almeno 7 persone durante le rapine a dei fast-food
- Angeli della morte
- Soggetti che uccidono per il gusto di farlo all’interno di organizzazioni criminali, terroristiche, nell’esercito
- Uomini e donne che uccidono i partner
Falso Mito 2: Tutti i SK sono soggetti solitari, senza lavoro e famiglia
Al contrario di quello che si può pensare, molti SK sono ben inseriti all’interno della società, hanno un buon lavoro, una moglie o un marito, dei figli, fanno parte della comunità religiosa, politica o sociale, sono spesso ben visti dai vicini e dagli amici, considerati come persone modello. In questo modo riescono a nascondersi bene tra la folla. Possiamo fare alcuni esempi, di alcuni dei SK più feroci e imprendibili della storia:
- John Eric Armstrong: assassino che uccideva prostitute in seguito all’abbandono da parte della fidanzata ai tempi del liceo, nel Michigan, lavorava nella Marina dell’esercito, era considerato un ottimo vicino, un buon padre e marito.
- John Wayne Gacy: noto anche come il “Killer Clown”, uccise ben 33 ragazzi a Chicago. Nonostante i suoi precedenti per reati di tipo sessuale, a carattere pedofilo, era ben visto nella comunità dove lavorava e viveva, faceva parte del partito democratico locale e nel tempo libero si travestiva da “Pogo il clown” per intrattenere i bambini ricoverati in ospedale e animare le feste di compleanno.
- Dennis Rader: conosciuto come “Lo Strangolatore BTK”, era un capo scout, sposato con due figli, impiegato governativo e presidente della locale congrega della chiesa.
- Gary Leon Ridgway: attualmente, e ufficialmente, il serial killer statunitense più prolifico con 48 omicidi di prostitute accertati e oltre 70 sospettati, il “Green River Killer” ha agito indisturbato dai primi anni ’80 fino al 2001. Sposato e divorziato più volte, con un figlio e un lavoro fisso in un’industria di vernici, era ben inserito anche nella comunità religiosa del sobborgo in cui viveva, un assiduo lettore della Bibbia.
- Robert Lee Yates: responsabile di 17 omicidi di prostitute nelle zone vicino Washington, negli anni ’90, era sposato, aveva cinque figli ed era un elicotterista dell’esercito USA pluridecorato.
- Andrej Chickatilo: il Mostro di Rostov, uccise almeno 52 vittime in Russia, aveva un lavoro, una moglie e dei figli.
- Richard Cottingham: era un operatore informatico di New York, con moglie e tre figli
Falso Mito 3: I Serial killer sono sempre maschi bianchi
Anche in questo caso dobbiamo dire che si tratta di una convinzione nata in un fase iniziale degli studi sugli omicidi seriali, intorno agli ‘anni 80. In realtà oggi abbiamo molti esempi che dimostrano come questa non sia una regola assoluta e insindacabile:
- Charles Ng: nativo cinese torturò e uccise numerose donne di diverse etnie insieme al suo complice Leonard Lake.
- Derrick Todd Lee: afroamericano che uccise in Louisiana almeno 6 donne.
- Coral Eugene Watts: noto come “L’assassino della domenica mattina”, era un afroamericano che uccise almeno 17 persone i Michigan e Texas.
- Rafael Resendiz Maturino: messicano che uccise 9 persone in diversi stati.
- Rory Conde: un colombiano che uccise 6 prostitute a Miami.
Falso Mito 4: I serial killer si fermano solo se arrestati, per sopraggiunta malattia o morte
Anche questa è una convinzione radicata nel tempo e che ancora oggi, nonostante i fatti dimostrino ben altro, continua ad essere accreditata anche tra gli esperti. Oltre alle classiche motivazioni che stanno dietro alle interruzioni di una serie omicidiaria ci può essere l’esaurimento della spinta motivazionale del killer, basti pensare ad un soggetto che coltiva una passione come per esempio la pesca o il giardinaggio, che però dopo un certo periodo di tempo ne rallenta l’intensità fino ad esaurirla, questo dipende anche dalle varie personalità (costanza/incostanza), oppure nella vita del soggetto può essersi verificato un evento che ne ha modificato le priorità (nuova relazione sentimentale, pratiche sessuali gratificanti, nuovo lavoro gratificante, ecc.). Ci sono diversi esempi di SK che hanno interrotto la serie omicidiaria proprio per questi motivi:
- Dennis Rader, Strangolatore BTK
- Gary Leon Ridgway, Green River Killer
- Joseph DeAngelo, Golden State Killer
- Lonnie David Franklin Jr., The Grimm Sleeper
- Jeffrey Gorton: uccise la prima vittima nel 1986 e la seconda vittima nel 1991, arrestato poi nel 2002. I suoi intervalli erano dovuti al fatto che era riuscito a mettere in atto le sue fantasie di travestimento con la moglie o da solo con la masturbazione
Falso Mito 5: I SK uccidono solo all’interno del proprio gruppo etnico
Anche se nella maggior parte dei casi si rileva questo elemento, non è sempre così.
- Timothy Spencer: afroamericano che violentava, torturava e uccideva tramite strangolamento donne bianche.
- Cleophus Prince Jr.: afroamericano che uccideva in modo brutale giovani donne bianche
Falso Mito 6: Tutti i SK sono viaggiatori che operano in più stati
Il serial killer può uccidere si in diversi stati, soprattutto se si tratta di un senzatetto, di un soggetto che ha un lavoro che gli permette spostamenti o se è un soggetto instabile da un punto di vista residenziale. La maggior parte dei serial killer però sceglie un preciso terreno di caccia (un quartiere, una città, una zona di campagna o una regione), talvolta addirittura attira o cattura le vittime per portarle nella sua abitazione, o in un luogo di sua proprietà, dove le uccide e a volte ne occulta il cadavere.
- Ronald Dominique: uccise 23 uomini in Louisiana lasciando i cadaveri non lontano da casa sua
- John Way Gacy: attirava le vittime in casa sua, a Chicago
- Jeffrey Dahmer: portava le vittime a casa sua, le uccideva lì e ne conservava i corpi, a Milwaukee
- Anthony Sowell: anche lui portava le vittime a casa sua, le uccideva e le occultava nel giardino o in casa, a Cleveland
- Gianfranco Stevanin: adescava prostitute che portava nel suo casolare, le torturava, le soffocava e poi occultava i cadaveri nei terreni di proprietà della sua famiglia
Falso Mito 7: Tutti i SK vogliono essere catturati
Questa convinzione è nata dopo che si è notato che molti serial killer, con il progredire della serie, tendono a commettere più errori. Ma questo non è dovuto ad una volontà, conscia o inconscia, di farsi catturare, si tratta piuttosto di una maggiore sicurezza acquisita e una convinzione di fare bene le cose anche se vengono fatte in modo più sbrigativo, usando meno precauzioni e utilizzando delle “scorciatoie”. Cercare una vittima, catturarla, uccidere e nascondere o liberarsi del cadavere è un processo che richiede molta attenzione. Dobbiamo tenere presente che molti serial killer sono affetti da quella che potremmo definire la Sindrome di Dottor Jekyll e Mister Hyde. Non sto parlando di sdoppiamento della personalità, personalità multipla o quanto altro, ma sto parlando di soggetti che riescono a vivere la loro vita quotidiana mostrandosi come gentili, affabili, tranquilli, disponibili e cordiali, a volte anche semplicemente non facendosi neanche notare dagli altri, dei soggetti anonimi, per poi mostrare un’altra faccia al momento del delitto. Mantenere un tale segreto, riuscire a celare così bene un aspetto così estremo, richiede molto sforzo e spesso, con il progredire della serie, può capitare che il soggetto in questione allenti la tensione, in modo conscio, pensando che tanto nessuno sarà mai di scoprirlo, o in modo inconscio. Ecco perché molti serial killer vengono arrestati perché fermati per eccesso di velocità, o in seguito ad un goffo approccio di una vittima in pubblico, o per aver lasciato una legatura troppo lenta, o perché hanno deciso di scaricare i resti dei cadaveri nello scarico del loro bagno intasando così le fognature di un intero condominio (come nei casi di Joachim Kroll e Denis Nielsen) o ancora decidendo di occultare i cadaveri nel giardino o sotto le assi del proprio scantinato, portando prima o poi ad allarmare i vicini per l’odore nauseabondo (per esempio John Wayne Gacy). Questi non sono errori commessi volontariamente per essere catturati, sono errori dettati da una tensione costante e di dimensioni immense che tali soggetti devono sopportare.
Falso Mito 8: Tutti i SK sono soggetti con malattie menatali e con intelligenza sopra la media
Questa è una delle immagini dei serial killer che sono nate dall’attività di Hollywood. I protagonisti di film in cui si parla di storie di omicidi seriali rispecchiano perfettamente questa caratteristica, perché da un punto di vista cinematografico attira molto. Nella realtà però i serial killer riconosciuti incapaci di intendere e volere, anche se sono presenti, sono una minoranza. Alcuni hanno un’intelligenza superiore alla media, ma la maggior parte presenza intelligenza nella media o inferiore ad essa.
Falso Mito 9: Tutti i SK uccidono le proprie vittime sempre nello stesso modo, in serie appunto
Anche questa è una convinzione che molti hanno in seguito alla costruzione delle storie hollywoodiane. È chiaro che da un punto di vista dello spettacolo fa effetto rappresentare un killer che uccide sempre nello stesso modo, con la stessa arma, lasciando segni indelebili del suo passaggio. Intanto dobbiamo distinguere tra MO, metodo utilizzato per mettere in atto il crimine e portarlo a termine nel modo migliore e nel minor tempo possibile, un aspetto che può variare e può evolversi da un delitto all’altro, dalla Signature o Firma, ovvero quei comportamenti che esulano dalle modalità finalizzate a portare a termine l’azione, che in genere rimangono costanti e possono presentare solo delle piccole variazioni dovute allo sviluppo psicologico del soggetto poiché ne rispecchiano proprio la componente psicologica. In realtà anche la Firma può non essere sempre presente in una serie omicidiaria. Quindi: rituali, modalità di uccisione, scelta dell’arma, scelta della vittima e della situazione possono rimanere costanti da un delitto all’altro, ma talvolta possono anche cambiare.
Falso Mito 10: I SK uccidono sempre persone con cui non hanno alcun legame, scegliendo come vittime degli sconosciuti
Nella maggior parte dei casi il serial killer uccide persone sconosciute, con cui non ha legami diretti, o con cui, al massimo, ha una relazione di conoscenza unilaterale, ovvero il killer conosce anche di vista la vittima ma la vittima non conosce il killer. Ci sono però anche alcune eccezioni. Basti pensare alle Vedove Nere, ai Barbablù, alle madri che uccidono figli, soggetti che uccidono parenti o amici. Un caso particolare è quello di Henry Louis Wallace, un serial killer statunitense che uccise 11 donne dal 1990 al 1994: tutte le vittime avevano una particolarità, erano legate in qualche modo con lui, erano colleghe, amiche o amiche della fidanzata o della sorella.
Falso Mito 11: I SK uccidono con armi e metodi che implicano il contatto fisico con le vittime
È vero che molti serial killer mettono in atto modalità di uccisione che richiedono il contatto fisico come strangolamento, soffocamento, ferite da arma da taglio, percosse, uso di armi contundenti. Queste modalità non comprendono però tutti i delitti seriali. Ci sono serial killer che uccidono con armi da fuoco, sparando anche da distanza notevole dal bersaglio, usano veleno (soprattutto le donne, ma anche qualche uomo), usano medicinali particolari (per esempio killer in corsia), i dinamitardi o gli incendiari.
Falso Mito 12: Il fenomeno degli omicidi seriali è recente e limitato ai paesi più industrializzati
Anche questa è una convinzione che accumuna, non solo l’opinione pubblica, ma anche alcuni studiosi del fenomeno. Non è raro sentir dire, ma anche trovarlo scritto in libri che trattano il tema, che Jack lo Squartatore è stato il primo serial killer della storia. Non è assolutamente vero: basti pensare a Gilles de Rais, Erzbeth Bathory (la Contessa sanguinaria), Vlad III di Valacchia (personaggio che ha dato origine alla storia di Dracula), per arrivare a Joseph Vacher, fino agli italiani Vincenzo Verzeni e Callisto Grandi, solo per fare alcuni esempi. Alcune cronache storiche, anche se vanno prese con le molle, parlano di omicidi seriali nell’Antico Egitto, nell’Antica Roma, moltissimi nel Medioevo, con i nobili che spesso uccidevano per diletto gli appartenenti alle classi più povere, oppure misteriosi proprietari di taverne e osterie che avvelenavano gli avventori per derubarli di ogni avere. Altra affermazione comune ma non corretta è quella secondo cui l’omicidio seriale sarebbe un fenomeno che affligge solo i paesi più industrializzati, sviluppati e ricchi del mondo. Questo è falso, poiché è stato dimostrato come, ogni continente, in qualche periodo storico, sia stato toccato da almeno un caso di omicidio seriale. America e Europa in testa, ma anche Asia, Oceania, Africa e Medio Oriente. Non è raro che paesi in cui vigono regimi totalitari nascondano questo genere di reati per cercare di far apparire, al proprio popolo e al resto del mondo, un’immagine di perfezione e sicurezza: ecco che dopo la caduta dell’URSS si sono scoperti numerosi casi di serial killer avvenuti in Russia e negli stati dell’ex Unione Sovietica, così come in Cina, nelle Coree, in Giappone. Nel continente Africano, così come in India, ma anche nei paesi dell’America centrale e meridionale abbiamo invece una problematica diversa: la presenza di molti omicidi rituali, molti dei quali a carattere certamente seriale, non viene rilevata poiché le autorità locali sono loro stesse legate a riti, stregoni, sciamani e quanto altro. Non dimentichiamoci poi che, nei paesi meno sviluppati da un punto di vista economico, politico e sociale, le forze dell’ordine sono dominate da corruzione e disinteresse per le parti meno abbienti della popolazione, tanto da non considerare omicidi, persone scomparse e quanto altro, contribuendo a far accrescere il “numero oscuro”, ovvero quei casi di omicidi seriali non rilevati e quindi non segnalati.
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