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STRESS DA PANCHINA: LA DURA VITA DELL'ALLENATORE

  • Alessandro Cariulo
  • 11 mag 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

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"In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono – le parole di Prandelli nel comunicato della Viola -. La mia decisione è dettata dalla responsabilità enorme che prima di tutto ho per i calciatori e per la società, ma non ultimo per il rispetto che devo ai tifosi della Fiorentina. Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più."


Sono queste le parole con cui Claudio Cesare Prandelli, allenatore di molte squadre in Italia, Spagna e Turchia, oltre ad essere ex ct della Nazionale, decide di lasciare la guida della Fiorentina, la sua Fiorentina, a cui è legato a doppio filo dopo la straordinaria esperienza vissuta tra il 2005 e il 2010. Aveva deciso di accettare una nuova sfida, proprio a Firenze, poco prima della fine del 2020, con l'obiettivo di portare la squadra fuori dalla lotta per non retrocedere in serie B. Ma a metà marzo scatta qualcosa nella mente dell'allenatore, qualcosa che forse aveva dentro da molto tempo. E' un vero e proprio crollo psicologico. Prandelli ha dovuto gettare la spugna, troppo grande questa ombra che aleggiava su di lui.


Poniamoci tutti questa domanda: all’interno del mondo del calcio, quale figura risulta essere più esposta alla critica, e quindi alle pressioni, esterne ed interne alla squadra? La risposta, se ci pensate bene, non è difficile da trovare: senza dubbio è l’allenatore. Titoli nazionali e internazionali, qualificazioni alle coppe internazionali, salvezze e promozioni, conquista di campionati del mondo o continentali. Tutti questi traguardi e obiettivi da raggiungere, uniti alla pressione alla quale l’allenatore è sottoposto, soprattutto quando viene lasciato solo da una società o da una federazione, possono mettere a dura prova la personalità e la psicologia del singolo, in questo caso della persona che siede in panchina. Come ormai avviene da molti anni, in particolare nel calcio ma anche in altri sport, quando i successi non arrivano la colpa viene attribuita proprio all’allenatore, che spesso viene rimosso velocemente dal suo incarico. È indubbio che risulti molto più semplice allontanare una singola persona piuttosto che un gruppo di giocatori o addirittura sgretolare l’intera organizzazione societaria. Ed ecco che quindi la soluzione migliore, o meglio quella più semplice, è l’esonero dell’allenatore, che risulta essere quindi la vittima sacrificale. Ed è proprio per questo che questa figura è a rischio per quanto riguarda lo sviluppo della Sindrome da Stress Lavorativo.


Cosa si intende per Sindrome da Stress Lavorativo?


La Sindrome da Stress Lavorativo, è caratterizzata da un esaurimento emotivo, spesso dovuto ad un disparità tra risorse disponibili e richieste lavorative. Alcune professioni (tra cui le professioni di aiuto, quelle in cui c’è molto contatto con il pubblico o dove vengono richieste molte responsabilità) sono più a rischio di altre, anche se questa condizione si può riscontrare in contesti lavorativi molto diversificati. Tra le professioni più a rischio in assoluto troviamo: medici, infermieri, insegnanti, psicologi, assistenti sociali, assistenti di volo, commercianti, camerieri e barman. A queste categorie si possono tranquillamente aggiungere anche gli allenatori, soprattutto quelli di calcio. Lo stato di forte e costante stress lavorativo porta ad aumentare i livelli d’ansia del soggetto, il suo senso di inadeguatezza e la sua irrequietezza, portandolo anche ad essere poco lucido. Le conseguenze possono essere negative per la persona con problemi a livello di salute, anche fisica, per il datore di lavoro, per i colleghi o collaboratori e per i clienti o pazienti.


Generalmente, la persona colpita dalla Sindrome da stress lavorativo attraversa le seguenti fasi:

— Fase 1: entusiasmo che spinge soggetto a scegliere un dato lavoro.

— Fase 2: il soggetto capisce che il carico di lavoro e le richieste sono eccessive. L’entusiasmo inizia a calare.

— Fase 3: sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione, oltre alla sensazione di essere sfruttato, e non tutelato, portano il soggetto ad allontanarsi.

— Fase 4: L’entusiasmo ormai è esaurito e l’empatia viene sostituita dall’indifferenza.

Tra i sintomi che caratterizzano il soggetto colpito da questa sindrome troviamo: sintomi fisiologici, come emicrania, stanchezza, aumento o diminuzione appetito, disturbi del sonno e gastrointestinali, palpitazioni, secchezza di bocca e gola, tic e tremori; sintomi comportamentali, tra cui ansia, tristezza, irrequietezza, senso di stanchezza, debolezza o di irrealtà, difficoltà attenzione e concentrazione, irritabilità.

Ma quali sono i fattori che possono influire sul crollo psicologico dell’allenatore?

- Personalità dell’allenatore -> Soggetti con personalità fragili, che hanno una storia personale che parla di disturbi d’ansia o traumi psicologici, possono essere inevitabilmente più esposti al rischio di incorre nella sindrome.

- Pressioni da parte della società -> Quando la società si pone un obiettivo cerca anche di scegliere un allenatore che sia all’altezza di tale obiettivo. Talvolta si può porre un obiettivo iniziale che però con il passare del tempo viene acquisito, ed ecco che ne nasce un altro, ancora più ambizioso, molto più difficile da raggiungere perché scarseggiano le risorse a disposizione dell’allenatore.

- Pressioni da parte della tifoseria -> Sicuramente uno degli aspetti più importanti e che molto spesso determinano il crollo psicologico dell’allenatore, è la pressione da parte della “piazza”, ovvero da parte dei tifosi. In molti casi l’allenatore si sente anche profondamente ed emotivamente legato all’ambiente, magari perché ha militato in quella stessa squadra quando era calciatore, è nativo di quella città, tifoso di quella squadra, oppure ha condotto la squadra stessa in passato a traguardi molto importanti. La tifoseria lo riconosce come un simbolo, lo considerano uno di loro, e quindi, una persona con una personalità più fragile, si ritrova a stare attento ad ogni mossa e ogni partita giocata è una montagna da scalare.

- Pressione da parte dei media -> Anche i giornalisti talvolta, con i loro articoli e le loro opinioni, possono caricare di ulteriori pressioni l’allenatore. Articoli a più colonne, titoli in prima pagina, speciali tv, possono certamente spingere il professionista verso traguardi sempre migliori, ma lo possono anche caricare di nuove e insostenibili responsabilità.

- Gruppo squadra che si mette contro l’allenatore -> Può capitare che il mister, a causa di sue scelte tecniche o per problemi a livello caratteriale, entri in contrasto con uno più componenti del gruppo squadra, o addirittura con il leader, creando così un clima insostenibile all’interno dello spogliatoio, che poi si riflette anche sulle prestazioni della squadra, i cui componenti decidono di non seguire più le indicazioni date dal mister.


Tutto questo può sembrare assurdo, molte volte, quando si parla di stress legato a personaggi dello spettacolo, dello sport, della finanza, il discorso si conclude con la frase: “per tutti i soldi che prendono..”. Non è una questione di soldi o di fame, ma una questione di reazione psicologica alla pressione che l’ambiente lavorativo e le circostanze esercitano sul soggetto. E in questi casi non ci sono contratti milionari che tengano. Ci sono alcuni chiari esempi, oltre a quanto accaduto a Cesare Prandelli, come l’abbandono del mondo del calcio da parte di Arrigo Sacchi, nel gennaio 2001. E' delle ultime ore la dichiarazione di Giuseppe Iachini, allenatore proprio subentrato a Prandelli alla guida della Fiorentina, che afferma di aver passato momenti davvero terribili negli ultimi mesi, culminati con la partita Fiorentina – Lazio, vinta dai viola sabato 8 maggio: nel bel mezzo della partita è stato trattenuto da alcuni giocatori in panchina, ha litigato un po’ con tutti, direttore di gara compreso, presentandosi all’intervista di fine partita con la voce tremante. Questo è l’effetto che possono fare, anche su dei professionisti, le innumerevoli pressioni, la passione e l’amore per la città che si rappresenta e si difende, il ritorno in un ambiente che ci ha resi gloriosi e che abbiamo reso felice. Ecco perché, la vita da allenatore, può essere davvero dura.

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©2020 di Alessandro Cariulo Psicologo Criminologo Formatore. Creato con Wix.com

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